Quando mi fu proposto da Ajahn Sumedho di fondare un monastero Theravāda in Italia, fui subito colpito dall’importanza di questa opportunità. Dopo oltre dodici anni trascorsi in diversi monasteri della foresta all’estero (otto anni in Gran Bretagna, diversi mesi in Thailandia e quattro anni in Nuova Zelanda) sentivo che era giunto il momento di portare gli insegnamenti del Dhamma nel mio paese d’origine. Così nacque il Santacittarama, il “giardino del cuore sereno”, un luogo che sarebbe diventato un punto di riferimento per la comunità buddhista italiana e per i numerosi immigrati provenienti dal Sud-Est asiatico.
Il monastero Santacittarama fu fondato nella primavera del 1990, grazie al sostegno dell’ambasciatore di Sri Lanka e della Fondazione Maitreya. Inizialmente, il monastero era situato in un semplice casale di campagna vicino a Sezze, in provincia di Latina, ma successivamente si trasferì a Frasso Sabino, in provincia di Rieti. Questo luogo, immerso nella natura, era perfetto per la pratica del Dhamma, offrendo un ambiente tranquillo e sereno dove i monaci e i laici potevano dedicarsi alla meditazione e alla riflessione.
La mia esperienza come abate del Santacittarama fu molto diversa da quella vissuta nei monasteri della foresta in Thailandia. In Italia, dovetti affrontare nuove sfide, come l’adattamento della tradizione Theravāda a un contesto culturale prevalentemente cattolico. Questo significava non solo mantenere l’integrità degli insegnamenti del Buddha, ma anche renderli accessibili e comprensibili per un pubblico diverso.
Una delle prime cose che feci al Santacittarama fu instaurare una routine giornaliera simile a quella che avevo conosciuto nei monasteri occidentali. La giornata iniziava presto, alle 4 del mattino, con i canti mattutini e la meditazione. Dopo una leggera colazione, mi recavo nella cittadina di Sezze per la questua del cibo, una pratica che, sebbene meno comune in Italia, era fondamentale per mantenere il legame tra la comunità monastica e i laici.
Ricordo che all’inizio, ricevere cibo dai cittadini di Sezze era un compito arduo, poiché la tradizione della questua non era molto conosciuta in Italia. Tuttavia, con il tempo, le persone cominciarono a comprendere l’importanza spirituale di questo gesto e a partecipare con sempre maggiore entusiasmo. L’atto di donare il cibo non solo garantiva il nostro sostentamento, ma permetteva ai laici di sviluppare la generosità e il distacco dai beni materiali, due qualità fondamentali nel percorso buddhista.
La vita al Santacittarama non era solo dedicata alla pratica monastica, ma anche all’insegnamento e alla diffusione del Dhamma. Ogni giorno ricevevo visitatori, praticanti laici e studenti interessati ad approfondire la loro comprensione del Buddhismo. Organizzavo ritiri di meditazione, incontri di studio e discussioni sul Dhamma, cercando di creare un ambiente accogliente e spiritualmente ricco per tutti coloro che desideravano avvicinarsi a questa pratica.
Un aspetto fondamentale della vita al Santacittarama era l’osservanza dei precetti. Oltre ai quattro precetti fondamentali (non uccidere, non rubare, non avere rapporti sessuali, e non mentire), i monaci seguivano altri 227 precetti che regolavano ogni aspetto della loro vita. I laici che soggiornavano al monastero erano invitati a seguire otto precetti, che includevano l’astensione dal cibo dopo mezzogiorno e dal comportamento rumoroso.
La disciplina monastica non era vista come un fine in sé, ma come un mezzo per coltivare la consapevolezza, la saggezza e la compassione. Al Santacittarama, cercai sempre di mantenere un equilibrio tra il rispetto per la tradizione e la necessità di adattarla alle esigenze dei praticanti occidentali. Questo fu un compito difficile, ma anche estremamente gratificante, poiché mi permise di vedere come il Dhamma potesse prosperare anche al di fuori del suo contesto culturale originario.
Durante i miei anni al Santacittarama, ebbi l’opportunità di collaborare con molti altri maestri e praticanti, condividendo esperienze e scambiando idee su come meglio diffondere il Dhamma in Occidente. Fu un periodo di grande crescita personale e spirituale, che mi permise di sviluppare una comprensione più profonda degli insegnamenti del Buddha e di come essi potessero essere applicati nella vita quotidiana.
Oggi, il Santacittarama continua a prosperare come un centro di spiritualità e pratica meditativa, grazie al lavoro instancabile dell’attuale abate Ajahn Chandapalo, del monaco thailandese Ajahn Jutindaro e di Ajahn Mahāpañño, che insieme agli altri monaci e laici vi hanno dedicato tempo ed energie. Il monastero è diventato un faro per chi cerca la pace interiore e la comprensione del Dhamma, offrendo un rifugio di calma e riflessione in un mondo sempre più complesso e frenetico.
Guardando indietro, mi sento profondamente grato per l’opportunità di aver fondato e guidato il Santacittarama per i primi sei anni. Questo luogo rappresenta non solo un’importante pietra miliare nella diffusione del Buddhismo Theravāda in Italia, ma anche un simbolo di come gli insegnamenti del Buddha possano essere applicati e vissuti in qualsiasi parte del mondo, offrendo una via di liberazione dal dolore e dalla sofferenza.