Blog

Ajahn Chah e il Lignaggio dei Monaci della Foresta

Quando penso alla mia formazione monastica, non posso fare a meno di ricordare il mio primo incontro con il Venerabile Ajahn Chah, un uomo che ha profondamente influenzato non solo la mia vita, ma quella di migliaia di persone in tutto il mondo. Ero appena arrivato in Thailandia, spinto da un desiderio profondo di comprendere il vero significato del Dhamma, gli insegnamenti del Buddha, e fui subito affascinato dalla figura di Ajahn Chah.

Ajahn Chah era un monaco della foresta, appartenente alla tradizione Theravāda, che in Thailandia rappresenta la “Via degli Anziani”. La sua fama lo precedeva, e molti lo descrivevano come un maestro capace di trasmettere gli insegnamenti del Buddha con una chiarezza e una semplicità disarmanti. Ricordo ancora la prima volta che lo vidi: il suo sorriso era contagioso, e i suoi occhi brillavano di una saggezza profonda, accumulata in anni di pratica ascetica nelle giungle thailandesi.

Nel corso degli anni, Ajahn Chah fondò numerosi monasteri della foresta, tra cui il Wat Nong Pah Pong, situato nella regione di Ubon Ratchathani. Questo monastero divenne presto un luogo di pellegrinaggio per monaci e laici desiderosi di apprendere e praticare sotto la sua guida. Era un ambiente semplice, immerso nella natura, dove il canto degli uccelli e il fruscio delle foglie erano gli unici suoni che accompagnavano le nostre giornate di meditazione e studio.

La vita nel monastero non era facile. Le condizioni climatiche erano spesso estreme, e la disciplina monastica richiedeva un impegno costante. Ma era proprio questa durezza che rendeva la pratica così efficace. Ajahn Chah, con il suo stile di insegnamento che ricordava in qualche modo quello dei maestri Zen, ci spingeva costantemente a guardare dentro di noi, a confrontarci con le nostre paure, i nostri attaccamenti, e a superare i limiti della mente.

Uno degli aspetti più affascinanti di Ajahn Chah era la sua capacità di rendere accessibili concetti complessi attraverso metafore semplici. Ricordo una volta, durante una delle nostre conversazioni, quando mi spiegò la natura impermanente delle cose utilizzando l’immagine di una foglia portata dal vento. “La mente”, disse, “è come una foglia. Se non la controlli, viene spinta qua e là dai venti dei desideri e delle avversioni”. Questo insegnamento, così semplice e al contempo profondo, mi accompagna ancora oggi nella mia pratica quotidiana.

Il termine “Ajahn”, che significa “maestro” in thailandese, deriva dal sanscrito “acariya”. Viene trascritto sia con Achaan che con Ajahn, più comune su scala internazionale. È un titolo che viene conferito ai monaci o alle monache con almeno dieci anni di anzianità, e Ajahn Chah lo portava con grande dignità. Ma per noi discepoli, lui era più di un semplice maestro; era una guida spirituale che ci mostrava non solo il cammino, ma come percorrerlo con cuore aperto e mente vigile.

Durante i miei anni di formazione, ebbi l’onore di assistere Ajahn Chah in varie occasioni, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, quando la malattia lo costrinse a letto. Fu un periodo di grande intensità spirituale, in cui la sua forza interiore brillava nonostante la fragilità del corpo. Ricordo in particolare una settimana in cui ebbi l’opportunità di fargli da infermiere. Era incredibile vedere come, anche nella sofferenza, Ajahn Chah rimanesse sereno e pieno di compassione per tutti coloro che lo circondavano.

Ajahn Chah ci lasciò il 16 gennaio 1992, ma il suo spirito e i suoi insegnamenti continuano a vivere nei cuori di chiunque abbia avuto la fortuna di incontrarlo o di seguire il suo lignaggio. Il termine “Luang Por”, con cui veniva affettuosamente chiamato, significa “Grande Padre”, un appellativo che ben riassume il ruolo che ha svolto nella vita di molti. Ancora oggi, il suo insegnamento rimane un faro di saggezza e compassione per chiunque cerchi di comprendere e vivere il Dhamma secondo la tradizione Theravāda thailandese nella sua forma più pura.

Altri articoli del Blog

Scegli Lingua »