Quando la notizia della scomparsa del professor Corrado Pensa, avvenuta il 29 febbraio 2024, è giunta fino a me, ho avvertito un silenzio particolare, come quando un vento sottile smette di soffiare e lascia spazio a una quiete più profonda. Chi ha conosciuto Corrado sa che la sua presenza era così: discreta e limpida, capace di portare chiarezza senza clamore, profondità senza pesantezza. La sua vita è stata un dono per molti, e anche per me. Corrado era nato nel 1939 ad Atri, in Abruzzo.
Nel suo cammino aveva intrecciato studi importanti, a partire dall’incontro con Giuseppe Tucci, e una lunga esperienza di ricerca personale che lo aveva portato ad avvicinarsi alla meditazione di consapevolezza. Ma ciò che più lo distingueva non erano i titoli o le cariche: era lo stile del suo cuore. Nei suoi insegnamenti si percepiva una delicatezza rara, una cordialità radicata nella pratica, una limpidezza che nasce non dal desiderio di spiegare, ma da quello di condividere. La sua voce ha accompagnato decine di migliaia di praticanti italiani.
La fondazione dell’A.Me.Co. – Associazione per la Meditazione di Consapevolezza fu un passo decisivo per la diffusione della mindfulness in Italia, in un’epoca in cui il Dharma non aveva ancora trovato radici solide nel nostro Paese. Parallelamente al suo lavoro accademico presso l’Università Sapienza di Roma, dove insegnava Religioni e Filosofie dell’India e dell’Estremo Oriente, Corrado seppe offrire ai suoi allievi una comprensione del Buddha-Dhamma che non era teorica, ma profondamente esperienziale. Quando ci incontrammo la prima volta – erano anni in cui la mia esperienza monastica in Thailandia stava iniziando a tradursi in una presenza stabile in Italia – riconobbi in lui una sensibilità affine. Provenivamo da percorsi differenti: io dalla foresta e dalla disciplina monastica, lui dal mondo laico della ricerca e dell’insegnamento. Ma ciò che ci univa era il valore della consapevolezza e il desiderio sincero di sostenere la crescita spirituale di chi si avvicinava alla pratica.

Corrado Pensa e Achaan Thanavaro – 6 maggio 1995
Quel periodo fu un tempo di germinazione per il Dharma nel nostro Paese. Con Vincenzo Piga e l’ambasciatore dello Sri Lanka Chandra De Soysa, Corrado divenne uno dei primi Garanti del nascente monastero Santacittarama, che oggi rappresenta un punto fermo per il buddhismo theravada in Italia.
Ricordo ancora la sua disponibilità, la sua chiarezza di visione, la sua capacità di vedere – prima ancora che nelle strutture – nelle persone. Sapeva riconoscere e valorizzare ciò che in ciascuno era autentico. La sua presenza a Santacittarama, anche se non frequente come quella dei residenti, aveva il peso delle cose essenziali. Non andava mai oltre ciò che era necessario. Sosteneva senza invadere. Apriva spazi, non li riempiva.
Era un atteggiamento che rivelava una profonda comprensione del Dhamma: rispettare il cammino altrui significa non sovrapporsi, non imporre, ma offrire con generosità e discrezione. Negli anni successivi, pur seguendo strade talvolta distinte, abbiamo continuato a sentirci vicini. Lo vedevo nella sua capacità di insegnare la meditazione della presenza mentale come un’arte del vivere, come un invito a contattare direttamente la realtà della propria esperienza.
Molte persone mi hanno raccontato come, grazie a lui, abbiano potuto scoprire un modo più gentile e vero di stare con se stessi. Era questo il suo grande insegnamento: la consapevolezza non nasce dall’obbligo, ma dall’incontro. Quando ho partecipato alla sua funzione funebre, il 29 febbraio presso la sede dell’A.Me.Co., ho sentito una quieta commozione. Non era un dolore pungente, ma un sentimento di profonda gratitudine. I
n quell’occasione ho potuto esprimere la mia vicinanza alla sua compagna di vita e di Dhamma, Neva Papachristou, a suo figlio Giorgio e a tutti i suoi allievi. La sala era attraversata da un silenzio pieno: un silenzio che, a suo modo, continuava a parlare del suo insegnamento. Chi ha seguito Corrado sa quanto la sua voce fosse capace di guidare senza mai imporsi. Amava la chiarezza e la precisione, ma non perdeva mai la dimensione umana, la tenerezza verso le fragilità che ciascuno porta con sé.
Chi lo ascoltava si sentiva accompagnato, non giudicato. Sapeva rendere evidenti le dinamiche della mente con uno stile che univa lo spirito analitico alla profondità del cuore. La comunità buddhista italiana, nelle sue molte forme, gli deve molto. La sua opera ha contribuito a far maturare un clima di dialogo e di collaborazione tra realtà monastiche e laiche, tra gli insegnamenti della foresta thailandese e l’approccio consapevole sviluppato in Occidente.
Questo intreccio, del quale anche io ho fatto parte, è stato per anni un ponte prezioso che ha sostenuto il cammino di tanti praticanti. Oggi, ricordare Corrado significa riconoscere la traccia luminosa che ha lasciato e che continua a brillare. La sua eredità vive non soltanto nelle registrazioni o nei libri, ma nel modo in cui le persone si siedono sul cuscino, nel respiro che torna a farsi consapevole, nella gentilezza che si estende alla vita quotidiana.
Vive ogni volta che qualcuno, nella pratica, sceglie di essere presente. Per me, il modo più autentico di onorarlo è continuare a sostenere la pratica con sincerità e apertura, così come lui ha fatto per tutta la sua vita. La sua presenza rimarrà un punto di riferimento silenzioso: un esempio di sobrietà, lucidità e dedizione. E nella gratitudine che porto nel cuore, riconosco la forza del suo insegnamento e il legame che il tempo non cancella.
Che il suo cammino prosegua nella pace e nella luminosa libertà del Dhamma.
Mario Thanavaro





