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La mia vita come ‘monaco della foresta’ thailandese, in Occidente

Quando guardo indietro alla mia vita monastica, mi rendo conto di quanto sia stato un viaggio straordinario, un percorso che mi ha portato a vivere secondo l’antica regola del Buddha, partecipando per i primi otto anni all’apertura di alcuni monasteri della foresta in Gran Bretagna. Successivamente ho potuto viaggiare in Asia, immergendomi nelle atmosfere di antichi monasteri in India, Thailandia e Birmania. Successivamente ho potuto soggiornare per quattro anni in Nuova Zelanda, paese di straordiarie bellezze naturali, e infine in Italia, dove nella primavera del 1990 fondai il monastero Santacittarama, il primo monastero Theravāda nel nostro Paese.

Nel marzo del 1996, dopo diciotto anni di vita monastica, di cui gli ultimi sei impegnati come abate, maestro di meditazione, presidente dell’Unione Buddhista Italiana e membro della Fondazione Maitreya, decisi di ritornare allo stato laicale. Lasciai così la sicurezza del monastero e l’immagine pubblica di notevole impatto che mi accompagnava da anni, per continuare a insegnare, libero dai numerosi e gravosi impegni istituzionali che avevano minato la mia salute ma soprattutto per ritrovare me stesso in una nuova veste, quella di praticante e maestro laico.

Questa decisione, per quanto dolorosa, non voleva essere una frattura tra la mia precedente vita monastica e l’attuale vita nel mondo ma, piuttosto, l’attuazione degli alti principi morali che sostengono la vita monastica nell’ambito della vita quotidiana laica.

Ogni passo di questo cammino è stato segnato da esperienze profonde e trasformative, che hanno plasmato non solo la mia comprensione del Dhamma, ma anche il mio modo di vivere e di relazionarmi con il mondo.

Il mio avvicinamento al Buddhismo avvenne in un periodo di grande incertezza personale. Durante il servizio militare, mi trovai a confrontarmi con un sistema che approvava la guerra, qualcosa che sentivo profondamente in contrasto con i miei valori. Fu allora che iniziai a cercare una via spirituale che potesse offrirmi una prospettiva diversa, una vita in armonia con i principi di non-violenza e di pace interiore.

La mia ricerca mi portò a scoprire il Buddhismo, e in particolare la tradizione Theravāda dei monaci della foresta. Decisi di ordinarmi monaco, spinto dal desiderio di immergermi completamente in questa pratica e di esplorare il Dhamma nella sua forma più pura. La mia formazione iniziò in Gran Bretagna, dove trascorsi i primi due anni prima come anagarika (senza casa) e poi novizio e i successivi sei anni come bhikkhu, monaco ordinato. Nel luglio del 1985 fui trasferito in Nuova Zelanda per aiutare un monaco più anziano, Ajahn Viradhammo, a fondare il Bodhinyanarama, un monastero nei pressi della capitale Wellington.

Vivere come monaco della foresta fu un’esperienza unica. Le condizioni erano dure: il clima era spesso estremo, e la disciplina monastica richiedeva una dedizione assoluta. Ma fu proprio in queste difficoltà che trovai la forza per approfondire la mia pratica. Il silenzio delle foreste, interrotto solo dai suoni della natura, creava un ambiente ideale per la meditazione e la riflessione. Ogni giorno era un’opportunità per confrontarmi con me stesso, per osservare la mia mente e per lavorare sulla mia consapevolezza.

Ricordo con particolare affetto il tempo trascorso sotto la guida di Ajahn Chah e Ajahn Sumedho. Questi due grandi maestri mi insegnarono non solo le tecniche meditative, ma anche l’importanza di vivere il Dhamma in ogni momento della vita. Una delle lezioni più preziose che appresi fu quella della consapevolezza costante, un’attenzione che doveva essere portata non solo durante la meditazione formale, ma in ogni attività quotidiana.

Un’esperienza che mi rimase impressa fu quella di assistere per oltre una settimana Ajahn Chah oramai anziano e da anni allettato per una grave malattia. Questo fu un periodo che descrivo come estremamente intenso e profondo. Nonostante la sofferenza fisica, Ajahn Chah rimase sereno, e la sua presenza emanava una pace che era quasi tangibile. Questa esperienza mi insegnò molto sulla natura della sofferenza e sulla possibilità di trascenderla attraverso la pratica del Dhamma.

Dopo 12 anni trascorsi all’estero, sentii il richiamo di tornare in Italia e nella primavera del 1990 portai con me gli insegnamenti e l’esperienza acquisiti in diversi monasteri della foresta sia in Occidente che in Thailandia. La mia esperienza monastica era iniziata nell’ottobre del 1977 in Gran Bretagna, dove vissi per otto anni prima a Londra all’Hampstead Buddhist Vihara e poi nel monastero di Cittaviveka, nel West Sussex, prima di trasferirmi in Nuova Zelanda per altri quattro anni. Durante questo periodo, lavorai intensamente partecipando alla fondazione di alcuni monasteri e al tempo stesso studiando e praticando gli insegnamenti del Buddha, cercando di mantenere l’integrità della tradizione, ma rendendola accessibile a un pubblico nuovo in un contesto prevalentemente occidentale,

Nel 1990, decisi di tornare in Italia per fondare il monastero Santacittarama, inizialmente situato vicino a Sezze Romano e successivamente trasferito a Frasso Sabino, in provincia di Rieti. Questo fu un periodo molto significativo della mia vita, in cui ebbi l’opportunità di creare un luogo di pratica e riflessione per la comunità buddhista italiana e per gli immigrati dal Sud-Est asiatico.

Al Santacittarama, adottai uno stile di vita simile a quello dei monasteri occidentali che avevo conosciuto in Gran Bretagna e Nuova Zelanda. La mia giornata iniziava alle 4 del mattino, con i canti mattutini e la meditazione. Dopo una leggera colazione, mi recavo nella vicina cittadina di Sezze per la questua del cibo, una pratica che non garantiva il nostro sostentamento, ma che rafforzava il legame spirituale tra i monaci e la comunità laica.

Uno degli aspetti più importanti della vita al Santacittarama era l’osservanza dei precetti monastici. Come abate, cercai sempre di mantenere un equilibrio tra il rispetto per la disciplina tradizionale e la necessità di adattarla alle esigenze dei praticanti occidentali. Questo fu un compito difficile, ma anche estremamente gratificante, poiché mi permise di vedere come il Dhamma potesse prosperare anche al di fuori del suo contesto culturale originario.

Dopo 18 anni di vita monastica nel corso dei quali ho ricevuto molti insegnamenti sentii che era arrivato il momento di fare un cambiamento. Decisi di lasciare l’ordine monastico e di tornare allo stato laicale, una decisione che fu il risultato di una profonda riflessione personale. Sentivo che la mia ricerca spirituale avrebbe potuto essere facilitata da una maggiore libertà, lontano dai vincoli istituzionali e dai ruoli formali.

Nel corso degli anni ho ricevuto molte lezioni preziose vivendo nei monasteri della foresta ispirati agli insegnamenti del venerabile Ajahn Chah e del suo discepolo americano più autorevole, il venerabile Ajahn Sumedho. Sono profondamente grato per tutto quanto mi è stato insegnato.

Forse la lezione più importante che ho appreso è che la pratica del Dhamma è un cammino che non finisce mai, un percorso di scoperta e trasformazione continua che può portarci a una comprensione sempre più profonda di noi stessi e del mondo che ci circonda.

Come praticante e maestro laico, ho continuato a promuovere gli insegnamenti del Buddha, ma con una nuova prospettiva e una maggiore libertà di espressione.Sono tutt’oggi in buoni rapporti con il mio maestro il Venerabile Ajahn Sumedho e con il Sangha sia in Italia che all’estero.

Ajahn Thanavaro a SezzeAjahn Thanavaro a Sezze, primo luogo dove è nato il Santacittarama.

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